Dibattito Pubblico
Ma chi ha detto che non c’è?
Per una rivendicazione collettiva dell’attualità del conflitto tra Capitale e Lavoro
E’ ampia e rappresentativa la tribuna di coloro che affermano la necessità di mettere fine al conflitto tra capitale e lavoro.
Marchionne, Marcegaglia, Fini, Bonanni ed Epifani (e quindi imprese, politica e sindacati), in diverse occasioni hanno ribadito che in tempi di crisi e dentro i meccanismi della competizione globale, gli interessi dei padroni e quelli dei lavoratori devono convergere per rilanciare la competitività, la produttività, la concertazione
sociale.
Questa invocazione al patto sociale è un inganno e una minaccia per gli interessi dei lavoratori, dei disoccupati, dei precari.
E’ un inganno perché coloro che parlano di produttività omettono il fatto che i lavoratori nel nostro paese anno già adesso la giornata lavorativa più lunga e i salari più bassi tra i paesi industrializzati. Non solo. Il problema della marginalizzazione dell’economia italiana non dipende certo dalla scarsa produttività
quanto dal crollo dei consumi sul mercato interno, dal crollo delle esportazioni (in quanto non possono più usare la svalutazione competitiva della Lira sostituita dall’Euro) e dalla arretratezza tecnologica dei prodotti italiani incalzati e sostituiti da produzioni analoghe realizzate nei paesi emergenti a basso costo del lavoro e ambientale.
E’ una minaccia perché il patto sociale che hanno in mente Marchionne, Montezemolo etc. prevede l’azzeramento di ogni vincolo contrattuale unificante per i lavoratori in tutto il paese e un modello
produttivo simile a quello della maquiladoras nei paesi emergenti ossia: maggiori ritmi di lavoro, salari più bassi, sindacati inesistenti o del tutto compiacenti.
Appare chiaro, in tale contesto, che l’autonomia di classe dimostrata dagli operai di Pomigliano D’Arco nel referendum truffa sul progetto di Marchionne, da un lato ha fatto saltare i giochi e dall’altro ha confermato l’indisponibilità operaia a subire i ricatti dei padroni, della politica e dei sindacati confederali. Occorre fare
tesoro di questa esperienza.
Ma chi oggi ripropone un patto sociale neocorporativo tra imprese e lavoratori, fa finta di non sapere che gli equilibri economici e politici internazionali sono cambiati.
Se fino a dieci anni fa erano i vertici del G 8 a definire la camera di compensazione degli interessi e delle contraddizioni tra le varie potenze, oggi sono costretti a discutere in sedi come il G 20 che li ha costretti ad includere le economie e le potenze emergenti come Cina, India, Brasile, Sudafrica dentro la definizione
dei nuovi rapporti di forza.
E’ questo il vero “stress test” a cui sono sottoposte le economie capitaliste del vecchio G8 e che costringe i gruppi capitalistici a operare in una doppia direzione:
– ridurre al minimo i costi del fattore lavoro come unico progetto di “competitività”
– cooptare i lavoratori tramite i sindacati nella gestione subalterna dei costi della crisi (dai salari, ai trattamenti pensionistici, al TFR etc.) e liquidare così il conflitto tra interessi del capitale e interessi dei lavoratori. Il modello tedesco di compartecipazione sindacale ai vertici delle aziende che viene invocato
anche in ambiti della “sinistra” o la cooptazione degli operai della Chrysler dentro i diktat della Fiat, sono esempi che vanno smascherati e combattuti.
A questo scenario è possibile opporre una alternativa?
Su quali basi possiamo riaffermare l’irrinunciabilità del conflitto tra capitale e lavoro?
Come può crescere l’autonomia di classe nel XXI Secolo?
Le soggettività anticapitaliste sono in grado di mettere in campo idee e proposte da gettare nel conflitto sociale?
Venerdi 29 ottobre ne discutiamo con:
Piero Bernocchi, Sergio Cararo, Mauro Casadio, Marco D’Ubaldo, Giorgio Ferrari, Carlo Guglielmi, Giovanni Incorvati, Pierpaolo Leonardi, Enrico Luberto, Vincenzo Miliucci
Ore 17.00 sala Esquilino Domani, via Galilei 53 a Roma
Organizzano:
Comitato di Quartiere Alberone e redazione di Contropiano